mercoledì 30 gennaio 2013

Osmosi: vi spieghiamo le cause

Torniamo sull'argomento acquisto barca, visto che molti in questo momento ci stanno pensando. E parliamo di uno degli spauracchi degli armatori e di coloro che si accingono a diventarlo: l' osmosi


Esistono dei fattori ben precisi che possono scatenare l'osmosi su uno scafo in vetroresina: andiamo a scoprire le cause principali e come prevenirle.
Sulla fine degli anni 40 del ’900 la vetroresina, ideata inizialmente per scopi militari, venne impiegata per la prima volta nel mondo della nautica inizialmente con la costruzione di piccoli scafi e poi su scala industriale. 
Trent’anni dopo questo materiale iniziò a mostrare uno dei suoi più grandi punti deboli: l’osmosi.

Nella trattativa per l’acquisto della barca l’osmosi può essere spesso fonte di contenziosi sul prezzo, o a volte può anche portare all’annullamento dell’affare. 
Partiamo da un presupposto: l’osmosi è si un problema grave dello scafo, ma si tratta di qualcosa di risolvibile e esistono degli accorgimenti per prevenirla o frenarne lo sviluppo. Andiamo a scoprire le cause del fenomeno.

Cause dell’osmosi

Una delle principali cause è la resina di scarsa qualità e in questo caso anche la prevenzione può servire a poco, occorre intervenire massicciamente non appena il problema si manifesta.
Nella fase di costruzione di uno scafo ci sono alcuni parametri come l’umidità e la temperatura della resina da monitorare con molta attenzione. L’alta umidità durante il processo di costruzione, o l’eccessivo calore durante la catalisi portano alla formazione di bolle d’aria e non garantiscono una costruzione di alta qualità, con la possibilità che l’osmosi si presenti presto . In modo uguale l’aumento della temperatura dell’acqua viene ormai considerato dagli specialisti una delle cause ulteriori dell’osmosi.

L’età dello scafo è un fattore da prendere in considerazione: è vero che in barche con più di vent’anni di vita in certi casi si manifesta l’osmosi. Se la barca tuttavia ha vissuto per oltre vent’anni senza alcun problema, vuol dire che resine e costruzione sono di buon livello e l’osmosi di conseguenza non sarà molto grave ma è semplicemente dettata dall’età della barca. I fenomeni più estesi si sviluppano intorno ai dieci anni di età, nel caso in cui i materiali e la costruzione siano scadenti.

Tolte queste cause indipendenti dalla gestione della barca, andiamo a vedere invece quale condotta da parte del diportista può facilitare l’emergere dell’osmosi.

Diffidate delle acque dolci o poco salate, come quelle dei porti sulle foci. Queste acque infatti sono meno dense di quelle salate e possono penetrare più facilmente nella carena. La spiegazione scientifica è semplice: un’acqua satura di sali disciolti è più pesante, quindi più densa, di un’acqua dolce. Ne consegue che quella salata ha più difficoltà a infiltrarsi nella carena.

Ricordatevi sempre di non accumulare troppi strati di antivegetativa da stagione in stagione: lo spessore accumulato della vernice trattiene l’umidità della carena e non ne facilità l’evaporazione. Per un buon lavoro di carena che previene l’osmosi cercate di portare quasi a zero i vecchi strati di antivegetativa a ogni rimessaggio.

Preoccupatevi di alare la barca quasi ad ogni stagione: se il vostro mezzo passa anni senza essere mai tirato a secco la carena non ha mai l’opportunità di espellere con l’evaporazione l’umidità fisiologica, che così può più facilmente trasformarsi in osmosi.

Buon acquisto...


Sezione Vela
Luca 3482233485 
Guido 3357216358

lunedì 21 gennaio 2013

Comprare una barca a vela usata


L'inverno è il momento migliore per fare un buon affare, ma occorre molta attenzione per non incappare nell'acquisto di un bidone.
Con l’inverno ormai avanzato è tempo di andare a caccia di occasioni sul mercato dell’usato. Il momento è favorevole per più di un fattore: la situazione economica generale, e in particolare quella della nautica, ha provocato un abbassamento dei pezzi notevole e così, per tutti coloro che hanno un gruzzoletto da investire in una barca, la situazione è ottimale per concludere qualche buono affare. 
Ma come fare a valutare correttamente una barca a vela e portare avanti una trattativa? Ci sono alcuni elementi che vanno valutati con attenzione.
  
Valutazioni generali:
Prima di esaminare nello specifico le componenti della barca occorre fare alcune valutazioni generali sul modello
Il cantiere è conosciuto? 
In quanti esemplari è stata prodotta? 
oltre che valutazioni generali sulla barca
La barca è stata usata per il charter? 
Esistono dei documenti che ne certifichino eventuali lavori di manutenzione nel corso degli anni? 
Si trova in vendita da molto tempo?



Sono tutte domande fondamentali per una preliminare valutazione di una barca e del prezzo richiesto. 
Se la barca è di un cantiere poco conosciuto, o è stata prodotta in pochi esemplari, la sua valutazione, indipendentemente dagli anni di vita, va al ribasso. 
Capitolo charter: le barche che vengono impiegate per questa attività spesso possono essere state trattate con poca cura da chi le noleggia: urti in banchina o sugli scogli, vele molto sfruttate, motore affaticato. Sono tutti elementi da tenere in grande considerazione per trattare il prezzo. 
Evitate infine di credere a tutto ciò che vi dice il proprietario, ma esigete la certificazione di tutti gli interventi di manutenzione che vi segnala.

Punti deboli:
Addentrandoci nello specifico, occorre fare attenzione ad alcuni punti deboli potenziali di una barca usata. La carena prima di tutto.
Se non sapete con che frequenza sono stati fatti gli interventi ordinari di manutenzione alla carena, chiedete una perizia sull’umidità dello scafo: l’osmosi può essere sempre in agguato e se la barca non è stata tirata a secco spesso la possibilità di riscontrarla può essere alta.



Procedete poi a un check completo delle boccole del timone e dell’elica, elementi facilmente soggetti all’usura. 
All’interno non dimenticate mai di ispezionare le prese a mare, importantissime per la sicurezza e l’integrità della barca. 
Allo stesso modo non dimenticate un controllo accurato sui prigionieri del bulbo, un elemento strutturale di difficile usura ma che va comunque monitorato per evitare spiacevoli e disastrose sorprese. In caso di deriva mobile va controllato tutto il circuito di sollevamento della deriva e la sua scassa.  La coperta, soprattutto se la barca è stata impiegata in regata, va controllata per verificare lo stato dell’antiscivolo.

Cercate poi di capire se la barca ha subito delle botte e in che punto. Se la riparazione è stata eseguita senza troppa accuratezza sarà ben visibile e potrete valutare se il danno è stato riparato correttamente. Se l’eventuale urto è avvenuto sotto la linea di galleggiamento bisogna moltiplicare l’attenzione, e soprattutto, indipendentemente dalla qualità dei lavori, trattare senza esitazioni sul prezzo.

Albero, vele, sartie:
Tutta l’attrezzatura va esaminata con attenzione, ma in particolare albero, vele e sartie. Gli alberi non anodizzati mostrano le tipiche fioriture dell’alluminio che indicano la necessità di un intervento protettivo, costoso e complicato da realizzare. 
Le sartie, se sono state trattate con cura negli anni, non devono mostrare macchie di ruggine o il verderame.
Capitolo vele: trattandosi di un elemento fondamentale su questo punto bisogna trattare senza tentennare. 
Molto spesso sulle barche usate si trovano vele ormai a fine corsa, perché i proprietari preferiscono vendere separatamente quelle in buono stato ricavando un utile maggiore, e non adeguando il prezzo della barca in vendita. 
Non piegatevi su questo punto e fate scendere il prezzo se le vele non sono in buono stato. Per capirlo basta analizzare le cuciture e il profilo delle vele, soffermandosi sulle balumine, un punto particolarmente esposto all’usura. 
Massima attenzione se vi vengono proposte delle vele in carbonio: materiale eccezionale ma non di grande durata. Esaminate con attenzione l’eventuale presenza di delaminazione, riscontrabile tramite delle microabrasioni della fibra, che in trasparenza tradisce la scollatura tra le pelli.

Trucchi e consigli:
Chiudiamo con un paio di consigli interessanti. 
Presentatevi all’appuntamento con il venditore in anticipo: sarà così costretto ad accendere il motore davanti a voi e non potrà farvelo trovare già caldo. Capirete così se c’è qualche problema nell’avviarlo. Se potete portate con voi uno specialista di fiducia: un meccanico, un esperto di manutenzione delle carene o un velaio. Vi aiuterà a valutare lo stato della barca.
Infine vi consigliamo di non avere premura nella scelta: la barca giusta per voi c’è, è in giro per i mari, dovete soltanto avere pazienza di trovarla senza avere fretta di accontentarvi di un compromesso...

Buon acquisto...
Sezione Vela
Luca 3482233485 
Guido 3357216358

martedì 15 gennaio 2013

Il giro del mondo in barca a vela? Si può fare…



Mollare gli ormeggi e partire per una lunga navigazione nei Mari del Sud, o più semplicemente uscire dalle Colonne d’Ercole e attraversare un oceano, è senza dubbio uno dei sogni più gettonati nel cassetto di un velista.
Pochi in realtà riescono davvero a realizzarlo, per le più svariate motivazioni. Io appartengo all’esigua schiera dei “fortunati”: a bordo della mia barca a vela, Malaika, insieme a due affiatati e fidati compagni, ho lasciato il molo del Marina di Albarella nel primo pomeriggio del 29 giugno 2008, per farvi ritorno dopo due anni, il 27 giugno 2010, con 32.000 miglia sulla chiglia, tre oceani (Atlantico, Pacifico e Indiano ) e sette mari  (M. Mediterraneo, M. dei Caraibi, M. dei Coralli, M. di Arafura, M. della Cina Meridionale, M. Arabico, M. Rosso) lasciati a poppa e i riflessi di acque turchesi e cristalline, isolette coperte di palme, fondali variopinti e brulicanti di vita ancora stampati sul fondo degli occhi.



Ora, se consideriamo che non ero certamente un velista oceanico, né tantomeno dotato di capacità ed esperienze nautiche superiori a quelle di molti giovani ed esperti velisti italiani, ma solo un neopensionato sessantenne, la conclusione e semplice: così difficile non è.

L’oceano è quindi alla portata di tutti? Io credo di sì. Se non proprio di tutti, certamente di quasi tutti. In queste 10 puntate di FV vorrei trasmettere, a chi avrà il tempo e la costanza di leggerle, alcuni consigli e informazioni che potrebbero tornare utili nella preparazione e nella realizzazione di un programma di navigazione “blu water”, come gli amici anglosassoni definiscono le navigazioni oceaniche.

Date retta a me, SI PUO‘ FARE. (Paolo Liberati)

Inizia così una serie di 11 articoli mensili che verranno pubblicati sulla rivista FareVela a partire dal numero di febbraio in cui Paolo Liberati prenderà in esame tutti gli aspetti della pianificazione di una crociera oceanica


Se siete interessati e volete saperne di più, qui trovate anche il piano editoriale.


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Sezione Vela
Luca 3482233485 
Guido 3357216358

giovedì 10 gennaio 2013

Traversate Atlantiche "For Dummies"???


Attraversare l'Atlantico in barca a vela in solitaria e senza esperienza.
E' possibile?

Si, basandosi sulla tecnologia!

Gian Piero Staffa, lo ha fatto, su un ketch di 54 piedi completamente automatizzato, con tanto di autopilota, genoa, trinchetto e randa rollati elettricamente, telefono satellitare con cui chiedere aiuto in caso di avaria, stazione del vento, radar, vhf,  AIS...


Ai velisti, che da sempre sostengono che in barca meno apparecchiature ci sono meglio è, perché quello che non c'è non si rompe, lui risponde che i primi airbag esplodevano e i sistemi abs si rompevano, mente oggi sono affidabili, si tratta solo di grado di maturità della tecnologia.
Secondo Staffa la tecnologia oggi è sufficientemente matura, al punto che sostiene "Se ce l'ho fatta io, lo possono fare tutti" e conclude citando Bertrand Russell: "All'uomo possono succedere due cose terribili: non realizzare i sogni e realizzare i sogni".


Se vi interessa conoscere tutta la storia, la potete leggere qui


Voi cosa ne pensate?
Siamo di fronte ad un visionario, un pazzo, un incosciente oppure un genio o semplicemente un realista




Sezione Vela
Luca 3482233485 
Guido 3357216358

lunedì 7 gennaio 2013

Kybele, andar per mare come gli antichi greci


L'Archeologia Sperimentale si occupa dello studio delle attività di determinati periodi storici attraverso la ricostruzione (utilizzando materiali e tecnologie coerenti) e la sperimentazione di antichi manufatti, attrezzi o veicoli utilizzati in tali epoche.
In un progetto di Archeologia Sperimentale, la "Kybele", replica di una nave focese del VI secolo a. C. progettata e costruita dal Prof. Osman Erkurt, con il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Ankara), ha attraversato il mare di Marmara e l'Egeo, viaggiando da Istanbul a Foça, l'antica Focea, presso Izmir. 

In realtà, sia “Kybele”,  sia “Uluburun II” (il suo predecessore),  sono esperimenti sulle rotte e le capacità di navigazione, non di costruzione navale: entrambe sono state costruite con fasciame moderno, sia pure secondo le linee antiche, e non col sistema di “mortasa e tenone”, sorprendentemente più robusto, e più difficile da realizzare.
Ma il prossimo progetto del professor Erkurt, per l’ANKUSAM del professor Erkanal, riguarda anche la costruzione: in una serie di esperimenti via via più complessi, sono state ricostruite delle ipotesi di barche cicladiche, quelle della prima civiltà marittima dell’Egeo, risalenti al 2500 a.C., fatte di tavole cucite tra loro, senza calafataggio o uso di metalli.
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Ne vuoi sapere di più clicca qui.
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giovedì 3 gennaio 2013

Poesia dei ruoli a bordo

Un augurio di buon 2013 a tutti,
ed un piccolo regalo, una chicca trovata su Internet:
la "poesia dei ruoli a bordo", liberamente tratta da un vecchio articolo del 2003  di Pietro Fiammenghi pubblicato sulla rivista SoloVela




Davanti a tutti c’è Lui, il divino, il predestinato…il prodiere.
Incarnazione velica della libertà,
tra le sue esperte mani prende corpo il fato,
innanzi al suo gelido sguardo,
si schiudono le sconfinate vastità dei mari.
Il suo non è un ruolo,
è una missione e del suo operato,
rende conto solo a Dio.
Lui è il Creatore e con un semplice gesto materializza il prodigio della resurrezione delle vele dai sacchi,
lui è l’ispirato artefice del miracolo eccelso,
dona e toglie la vita alle vele,
ma è in partenza che il nostro eroe trova la sublime esaltazione.
Come Mosè nel Mar Rosso,
così in quei drammatici attimi
conduce il suo gregge tra le insidie del pre start.
Pontificando col breve gesto della sua ispirata mano
sprona,
frena
e dirige l’intera manovra
ed in quegli attimi di onnipotenza,
il suo già smisurato ego diviene talmente incontenibile da assumere
persino tinte magnanime,
tanto da permettere al suo chirichetto
di rimboccare mestamente il “grembiule” del fiocco.
Al chierichetto spetta l’ingrato compito di materializzare tutti i miracoli
orditi del vate di prua.
E lui issa,
piega,
ammaina,
impacchetta,
broglia e sbroglia tutte le vele
che capricciosamente vengono chiamate.
Lui vive nell’ombra e gli spetta l’ingrato
compito di districare tutto ciò che la natura intreccia.
Sua è la colpa se lo spi si incaramella,
se il tangone si inceppa o se il genoa si bagna.
Se l’intricata matassa si dipana, il merito sarà del divino prodiere,
ma se avviene anche il più piccolo intoppo,
la colpa è già chiaro su chi andrà a ricadere.
Il due vanta infatti un’originale caratteristica:
emergere dall’ombra solo quando avviene l’ errore.
Ma il chierichetto, ha una fede ben salda,
la fatica e le urla non gli pesano:
lui soffre in silenzio perché appartiene ad una setta ristretta,
quella degli apprendisti prodieri.
Fedele come un segugio, silenziosamente osserva
ogni mossa del suo celebrato vate di prua per carpirne i segreti riti
e magari, un giorno, anche il ruolo.
Appena più a poppa armeggia il drizzista.
Lui è un flemmatico pianista.
Dalle sue tastiere sgorga una musica strana,
intonata con la sola intensità del vento.
Pignolo come un farmacista, tormenta continuamente le sue drizze,
le lunghe corde delle sua enorme arpa.
Prima le tira,
poi le molla,
quindi le cazza un poco.
Il suo lavorìo è eterno,
alla costante ricerca della tensione perduta.
Trascorre intere boline ad accordare le sue drizze,
ma appena si avvicina all’intonazione ottimale,
la vela deve essere ammainata
ed il certosino lavoro iniziato da capo.
Quando si arriva in boa poi,
il laborioso musicista diventa Figaro:
tutti lo vogliono,
tutti lo cercano.
Deve issare lo spi con una mano,
ammainare il genoa con l’altra,
lascare base randa con la bocca
e filare quattro centimetri di drizza col piede.
Ma alle spalle del pianista,
sempre pronti a coglierne il più piccolo errore, vivono loro,
i famigerati sail trimmer.
Loro sono due romantici visionari.
Vivono prigionieri di un utopia, riprodurre la forma
ideale, quella che da piccoli videro in sogno.
Da allora osservano le vele in struggente contemplazione,
si compiacciono della forma ottenuta,
avanzano il punto di scotta di due millimetri,
lascano un pizzico il meolo del genoa,
pretendendo l’ennesima regolazione alla drizza.
Sono fatti così, sono i depositari dell’ “ala perfetta”.
Ma dove raggiungono l’apoteosi,
è quando si gonfia lo spinnaker.
L’ enorme pallone gonfiato racchiude a stento la smisurata autostima che i due rabdomanti del vento hanno di se.
E più sono tronfi,
più le cuciture si tendono nello sforzo vano di contenere tanta sapienza.
Alle loro spalle siede il povero randista.
Lui ha tra le mani un problema grosso come una casa.
Tira su il carrello,
lasca la scotta,
cazza il vang,
pizzica il cunningham ma non c’è niente da fare,
il riverbero del sole sulla randa continua a dargli noia.
Il randista è come un pescatore che ha preso un pesce enorme.
Cerca di sfiancarlo ma la sua è una lotta impari,
in cui la bestia non si arrende mai.
A lui è capitata la più grossa sfortuna:
gestisce il timone che la barca ha nel vento ma a differenza di
quello vero, che sta ben nascosto sott’acqua, il suo, tutti lo vedono.
E ognuno dice la sua.
Più il vento sale, più i consigli aumentano:
su di carrello,
cazza la base,
prendi il paterazzo.
Ogni filo d’aria offre all’equipaggio l’atteso pretesto per tormentarlo.
Di poppa o di bolina, di lasco o di traverso il supplizio non ha tregua.
La sua vela, l’immane randa, è infatti come la iella:
non si ammaina mai.
Appena più dietro, rovescio sul timone,
tra introspezione ed autismo siede lui.
Il sensitivo,
il leggendario,
il divino timoniere.
Vive in una realtà unica, compressa in uno strato sottile,
un mondo laminare dominato da filetti fluidi in perenne scorrimento.
Li vede entrare dal dritto di prua,
li sente vibrare lungo il mascone di sottovento,
li percepisce fremere lungo la carena e
li accarezza mentre risalgono lungo la pala del timone.
Gli pervadono la mano,
gli percorrono il braccio invadendogli l’intero corpo
per sfociare finalmente nel cervello,
dove si mescolano all’altra acqua che vi trovano dentro.
L’abilità maggiore risiede proprio nel fluttuare armoniosamente assieme
ai filetti stessi e, vibrando come uno spermatozoo,
il divino timoniere cerca la sua boa neanche fosse l’ovulo da fecondare.
Lui non parla, geme. Non timona, freme.
Non regata, compone, lui che del moto ondoso è sia lo scultore che il pittore.
Alle sue spalle, appollaiato nel suo eremo,
si erge torvo l’essere umano straziato dal dubbio.
Pur non muovendo un solo dito,
sopporta stoicamente tutto il peso della regata.
Lui è il tattico,
la mente creativa,
l’amletico.
Lui realmente non è sulla barca,
lui vive più in alto,
con la testa tra le isobare.
Orzare o poggiare, virare o strambare: questo il dilemma.
Dei massimi sistemi,
della vulcanologia,
del buco dell’ozono,
della tettonica a zolle,
della stessa volta celeste, è il grande analizzatore.
Le sue sudate meningi, del vento vivono ogni singulto,
ne ricercano il ritmo,
ne studiano il respiro,
per poi finalmente prendere la grande decisione:
facciamo come gli altri.

                               (Probabilmente) Un prodiere,
                               (Sicuramente) non un tattico!
                                                :-) :-)


Sezione Vela
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