La falchetta in acqua spesso crea stress e preoccupazioni, come se improvvisamente la barca possa scuffiare. In realtà non è così.
Come si fa a dimenticare la prima volta in barca a vela e le emozioni provate, nessun rumore artificiale, la barca che avanza grazie alla forza del vento, inclinandosi dapprima leggermente e poi sempre più da un lato...
Inutile negare che quest’ultimo aspetto ha suscitato in tutti un po’ di timore: effettivamente, quando non si comprende bene quel che sta accadendo, quanto la forza del vento può far aumentare quell’ inclinazione e fino a che punto la barca la può sopportare senza che nulla di pericoloso accada, tutti i neofiti rimangono leggermente attoniti.
Poi col passare del tempo ci si fa l’abitudine, anche se comunque la "falchetta in acqua" continua a creare un leggero stress psicologico a molti.
Ma, che cosa succede alla nostra barca in quella condizione? Che equilibri entrano in gioco? Esistono reali motivi per preoccuparsi?
E, soprattutto, cosa è meglio fare?
QUESTIONE DI FORME
Prima di entrare nello specifico del navigare sbandati, è bene comprendere quali forze entrano in gioco.
La stabilità sull’ asse longitudinale di un’imbarcazione a vela è data fondamentalmente da due parametri che, insieme, determinano la sua spinta raddrizzante: il rapporto tra baricentro e centro delle pressioni delle vele (centro velico); la forma dello scafo.
Quest’ultima riveste un’importanza rilevante, anche perché suggerisce le soluzioni che un progettista attua nel prosieguo del suo lavoro.
Alla base ci sono due forme originali: una larga, l’altra stretta; cioè, uno scafo che, in rapporto alla sua lunghezza, ha un baglio massimo importante e, viceversa, uno con un baglio massimo esiguo.
Facile comprendere la differenza se si prova a immaginare un catamarano e una barca da Coppa America; il primo molto largo, la seconda estremamente stretta, quasi come una canoa.
Questo, si traduce in due diversi tipi di stabilità, agli estremi tra loro: il catamarano beneficia di una gran "stabilità di forma" e, al contrario, l’America’s Cupper per sopperire alla mancanza di spinta raddrizzante data dalla forma dello scafo (appunto, la stabilità di forma) ha necessità di molta zavorra nel bulbo, e quindi si parlerà di "stabilità di peso".
Generalmente, la nostra barca da crociera nasce da un punto progettuale di equilibrio tra i due tipi di stabilità, a meno che non si tratti proprio di un catamarano.
Nei monoscafi, questo punto di equilibrio è uno dei fattori principali alla base delle scelte progettuali da cui scaturisce la barca finita e viene determinato in funzione del tipo di imbarcazione che si vuole ottenere e del suo utilizzo.
Oggi, tendenzialmente, le barche da regata sono abbastanza strette dando, perciò, una valenza rilevante alla stabilità di peso, che significa, in linea di massima, bulbi più profondi e non più pesanti, proprio per evitare di incidere molto sul dislocamento complessivo.
Invece, le barche da crociera sono necessariamente più larghe, sia per aumentare lo spazio interno e la vivibilità sottocoperta, sia per godere di una maggiore stabilità di forma; questa, permette al progettista di “accorciare” i bulbi, con benefici facilmente intuibili in condizioni di basso fondale.
Poi, per quanto riguarda il rapporto tra forza sbandante (data dal piano velico) e forza raddrizzante, nelle barche da crociera è volutamente calcolato con un grande margine a favore della seconda, per rendere la barca più confortevole e più sicura, ma con un ovvio sacrificio delle prestazioni.
In pratica, durante la navigazione, la differenza che si avverte tra una barca stretta e una larga è data dalle modalità di sbandamento: la prima tende a inclinarsi subito sul fianco, per poi trovare un equilibrio tra il momento raddrizzante (coppia della forza del bulbo e della forza di spinta dello scafo) e la pressione del vento; la seconda sbanda in modo più progressivo.
E SOTT’ACQUA?
L’aspetto idrodinamico risente decisamente delle scelte attuate dal progettista in relazione a quegli equilibri fin qui esposti, nella misura delle forme delle linee d’acqua e delle appendici.
Ma, indipendentemente da questi, un dato da cui non si può prescindere è che la barca deve essere simmetrica, cioè, sezionata da un piano verticale passante per l’asse longitudinale, deve avere i due semigusci perfettamente uguali.
Da ciò s’intuisce che le barche sono nate per navigare “piatte” sull’acqua e che quando s’inclinano lateralmente creano degli scompensi nello scorrimento del flusso dell’acqua.
L’immersione asimmetrica dello scafo, principalmente, crea effetti di portanza e deportanza che tendono a far ruotare la barca dal lato opposto a quello da cui è inclinata.
Per esempio, di bolina mure a sinistra con barca sbandata a dritta, la tendenza sarà di andare all’orza. Ma sappiamo che a una portanza corrisponde, in modo direttamente proporzionale, una resistenza, e questo incide sulla velocità.
Inoltre, il modo più immediato e diretto per contrastare questa tendenza all’ orza è quello di intervenire sul timone con un’azione a poggia che obbliga a navigare con la pala costantemente inclinata: ecco che si viene a creare un’altra resistenza, facilmente visualizzabile osservando l’uscita dell’acqua da poppa, dove si noteranno vari gorghi e turbolenze.
In questi casi si deve cercare di ridurre lo sbandamento, risultato ottenibile in due modi: aumentando il peso sopravento o diminuendo la pressione del vento sulle vele.
PESO E POTENZA
Il motivo per cui si vedono le barche in regata con tutto l’equipaggio posto sopravento in falchetta è proprio per sfruttare al massimo il peso che si ha a disposizione a bordo per contrastare la forza sbandante.
Nei casi di lunghe navigazioni su un bordo, si spostano tutti i sacchi delle vele e le parti movibili, in modo da concentrare il maggiore peso possibile sempre nella parte sopravento dell’imbarcazione. Tutto ciò si attua per lasciare come ultima opzione la riduzione della superficie velica, continuando a mantenere alta la potenza, visto che l’obiettivo è quello di andare più veloce possibile.
Ovviamente, questo non è lo scopo di chi va in crociera e le soluzioni sopracitate sono poco comode e, il più delle volte, inattuabili, per cui, in questo caso, l’intervento per “raddrizzare” la barca si limita alle vele.
Per prima cosa si deve agire sulla regolazione, cercando di smagrire al massimo le vele: nella vela di prua si cazza bene la drizza e si sposta più a poppa il carrello del punto di scotta; anche per la randa si deve cazzare al massimo la drizza e successivamente il cunningam, oltre a tesare la base; inoltre, prima di lascare la scotta è bene portare il carrello del trasto completamente sottovento; in ultima analisi, si può lascare leggermente il vang, in modo da far aprire la balumina nella parte alta della vela.
Già con questi interventi, lo sbandamento dovrebbe diminuire.
Un’altra possibilità si presenta nel caso in cui si sta andando di bolina, orzando oltre il riferimento dato dai filetti di lana sul genoa e, cioè, portando quello di sopravento completamente sventato.
Ma se il vento è tale da mantenere la falchetta in acqua, allora è il caso di dare una mano di terzaroli.
Di traverso o lasco stretto, lascare la randa sarà sufficiente per tenere la barca abbastanza piatta sull’acqua e, in caso di vento a raffiche, nel momento di intensificazione, poggiando leggermente si riduce di molto la spinta laterale con conseguente stabilizzazione dello scafo.
Ma, soprattutto, non bisogna essere timorosi di chissà quale effetto disastroso.
Le barche sono pensate per navigare e resistere a sollecitazioni ben superiori di quelle che si possono immaginare.
Qualche spruzzo, una o due straorzate, o andare con uno sbandamento superiore alla fatidica “falchetta in acqua”, sono tutte condizioni normali, che fanno parte di questo sport, rendendolo emozionante e spettacolare.
Importante è prendere confidenza gradualmente e, una volta compreso il sistema e trovato il giusto equilibrio tra velocità e inclinazione laterale, ci si saprà divertire anche con vento fresco.
1) Un caso di differenza tra stabilità di forma e di peso: applicando un’asta a entrambe i corpi, la tavola rimane dritta, mentre per non far abbattere il cilindro gli si deve applicare un contrappeso.
2) Per grandi linee, la stessa differenza che c’è tra un catamarano (stabilità di forma) e uno stretto monoscafo (stabilità di peso).
Quando lo scafo è perfettamente dritto, la forza generata dalla zavorra del bulbo e quella di galleggiamento si annullano, perché sullo stesso piano longitudinale.
Più lo scafo s’inclina, più aumenta la spinta raddrizzante, in modo direttamente proporzionale alla grandezza del momento di coppia delle due forze.
Nello scafo rosso la stabilità di forma è rilevante; in questo blu, più stretto, si rende necessario l’aumento del peso di zavorra e l’allungamento del bulbo, per ottenere una spinta raddrizzante analoga.
Sezione Vela
Luca 3482233485
Guido 3357216358
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